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Alessandro Magnasco "Scene dell'inquisizione" (part.) |
Riprendere libri vecchi può essere, spesso, molto istruttivo.
Prendiamo le Lezioni sul Processo Penale di Carnelutti. Essendo la
riforma del codice di procedura penale una delle poche riforme in
ambito giuridico andate in porto nel nostro paese (o, almeno, una
delle poche di una certa rilevanza), uno può immaginare di aver tra
le mani un pezzo d’antiquariato. Solo le parti più generali,
quelle definitorie del “processo penale” in sé, quelle insomma
che non entrano nei particolari delle regole del processo penale o
dell'ordinamento giudiziario italiani, dovrebbero resistere al tempo.
E, per quanto tali pagine non siano poche e siano sicuramente
interessanti, costituiscono pur sempre una minoranza nei quattro
volumi, editi tra il 1946 e il 1949, che raccolgono le lezioni del
Carnelutti. Le lezioni stesse, precedenti alla data di edizione, appartengono a un'altra era della nostra
storia istituzionale, un'era nella quale, tanto per dire, il
procuratore della repubblica si chiamava, ancora, procuratore del re.
Perfino lo stile è pieno di toscanismi e di termini desueti, e il
retroterra filosofico accentuatamente spiritualista. Insomma, tutto
cospira in favore della tesi di una lettura antiquaria. Così quando
si arriva al paragrafo sul processo accusatorio e si legge che esso
«consiste […] non tanto nella presenza dell'accusa, quanto nella
mediazione dell'accusa e della difesa tra giudice e imputato» [p.
158], si ha l'impressione di essere arrivati al redde rationem. Il
processo penale accusatorio, affermava Carnelutti, non è ancora «un
risultato ormai raggiunto», ma è invece una tendenza, un «passaggio […] lento e faticoso». Forti del nuovo codice di
procedura, abbiamo gli elementi per affermare che il passaggio si è
compiuto, per quanto lentamente e faticosamente.