Una “Bordin Line”
di qualche giorno fa, mi ha fatto tornare in mente un articolo di Mario Pisani
uscito quarant’anni fa sui Quaderni fiorentini e che mi è capitato di leggere
recentemente. L’articolo prende in considerazione quattro circolari
ministeriali, nell’arco di quasi un secolo, contenenti, tutte, una serie di
richiami volti a limitare o a reprimere l’inevitabile teatralità dei dibattiti
penali. Si tratta di quattro circolari emesse da governi differenti, in epoche
differenti, in ottemperanza a differenti codici di procedura penale. Le prime
due, firmate dai guardasigilli Giovanni Battista Varè (1879) e Luigi Ferraris
(1891), appartengono a due periodi diversi della stagione “liberale”. La terza
è firmata dal ministro Rocco, ed essendo del 1928 risale al periodo del
consolidamento dell’autoritarismo fascista. L’ultima, del 1952 (ministro Adone
Zoli), è dell’Italia democristiana dell’immediato dopoguerra.
L’articolo di
Bordin (che a sua volta richiama un articolo di Stefano Livadiotti apparso
sull’Espresso), mi ha ricordato la prima circolare, quella del 1879,
che, inviata «ai signori primi presidenti e procuratori generali delle Corti
d’appello», aveva l’intento principale di limitare i costi del sistema
giudiziario, «in Italia - sosteneva il ministro Varè - assai più forti di
quanto, nel medesimo titolo, siano gravati i bilanci di altri Stati, dove le
istituzioni giudiziarie hanno il medesimo tipo e simili le norme». È notevole
come alcune costanti evidentemente si mantengano col cambiare dei tempi, dei
regimi, delle condizioni sociali ed economiche del Paese.
E che vi siano
delle costanti che legano questi interventi tra di loro e, anche, tra di loro e l’attuale
situazione, lo dimostra la citazione che l’ultima circolare, quella del 1952,
fa della prima, quella del 1879.
A proposito dell’eccessiva spettacolarizzazione dei dibattimenti
penali, il ministro democristiano Adone Zoli si richiamava infatti
esplicitamente al suo predecessore liberale Varè, il quale, sottolineando la
necessità di rispettare il “giudicabile”, ricordava che: «l’accusato, fino a
che condannato non sia, si presume innocente; è un cittadino infelice di cui
non è lecito aggravare le condizioni, degradandolo a figura da scena, come le
bestie feroci che si espongono al circo». Dal 1879 ad oggi sono stati redatti
tre codici di procedura penale (1913, 1930, e quello attuale, entrato in vigore
nel 1989) e una nuova costituzione, la quale, appunto, si premura di ricordare, al
secondo comma dell’articolo 27, che l’imputato non può essere considerato
colpevole prima della «condanna definitiva».
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