«Le
api sono state per noi quel che sono le nuvole: ciascuno vi ha visto
quel che vi voleva vedere». Così il (politicamente) volatile Michel
de Cubières riassunse in una frase la travagliata storia politica
dell'alveare. Arruolate sotto tutte le bandiere, le api hanno servito
nei secoli la propaganda di ogni schieramento. Piacevano,
ovviamente, ai monarchici, che vedevano nei docili e ordinati
imenotteri, laboriosi e naturalmente rispettosi della gerarchia, la
migliore immagine del suddito ideale dell'ancien
régime.
Proprio per questo, quando, nel 1792, il Chevalier de Cubières,
allora più opportunamente noto come Citoyen Cubières, dava alle
stampe il suo poema sul “governo felice” delle api, anche
l'ordine stabilito della “monarchia femminile” (come l'aveva
definita il naturalista inglese Charles Butler, nel 1609) era
travolto dall'impeto dei venti rivoluzionari.
Furono infine i naturalisti dell'Ècole
Normale
ad assumersi l'incarico di detronizzare la regina delle api, facendo
dell'alveare una repubblica. Se ne discusse nel corso di storia
naturale del professor Daubenton, nell'anno III. Non è vero,
sosteneva Daubenton, che l'alveare è retto da un monarca: quella che
erroneamente si chiamava “re” o “regina” delle api,
confondendone il ruolo non meno che il sesso, altro non è che una
“ape madre”: una specie di “fattrice”, buona solo per deporre
le uova. Nell'arnia repubblicana, è lo sciame la fonte della
sovranità. Frugali, egualitarie e pronte a difendere il loro
alveare, le api erano ora diventate l'immagine ideale del cittadino
vagheggiato sui banchi dell'Assemblea Nazionale. Non sono forse loro
a selezionare la regina, nutrendola di pappa reale con quella che
poteva ben sembrare una versione alimentare del suffragio universale,
e addirittura a liberarsene, quando non serve più e occorre
sostituirla con una nuova? Le api non solo non erano monarchiche, ma
all'occorrenza addirittura regicide.
La
restaurazione proverà a cancellare il ricordo delle api giacobine:
ancora nel 1819, Joseph De Maistre recuperava, nel suo libro sul
Papa, l'analogia tra l'alveare e la monarchia assoluta. Provate a
togliere la regina dall'alveare, chiedeva polemicamente il pensatore
savoiardo: avrete tante api quante ne vorrete, ma non avrete mai uno
sciame. Ossia:
tagliate pure la testa ai re, e non vi sarà più nessuna nazione:
solo un popolo disperso e senza guida.
Nonostante gli sforzi di De Maistre, e quelli di Carlo X, delle
vecchie monarchie assolute non era rimasta che l'allegoria. Alla
fine, anche le api dovettero adeguarsi all'industrializzazione.
Organizzate dall'apicoltura moderna in arnie “razionali”, che
permettono di raccogliere il miele senza distruggere lo sciame, le
api si prepararono per la loro ultima reincarnazione: le perfette
operaie delle comunità industriali progettate dai socialisti
utopisti. L'arnia come falansterio: un'organizzazione razionale e
cooperativa, guidata da una regina la cui unica preoccupazione è il
benessere dello sciame.